USA, UK, 2019 – (NO SPOIL)
La prima guerra mondiale per ovvi motivi è meno narrata cinematograficamente della seconda -in calce trovate (da Wiki) le rispettive liste dei titoli dei film.
Mentre guardavo ‘1917’ riflettevo sul fatto che tra i due conflitti ci sono circa 30 anni ma il ‘modo della guerra’ è molto diverso.
Ad esempio, il fucile doveva essere ricaricato dopo ogni singolo sparo; questo cambiava tutto, durante un assalto, e spesso si arrivava al corpo a corpo.
Tutto era molto più fisico, materiale, tangibile, ravvicinato:
si moriva di granata e di baionetta, si portavano dispacci a mano.
E proprio un ordine da consegnare a mano (i tedeschi avevano tagliato le linee telefoniche) è l’evento che mette in moto il film.
Film che rimanda alla tematica della solidarietà militare di ‘Salvate il soldato Ryan’, ambientato però appunto tre decenni dopo.
Mendes, Oscar alla regia nel 2000 per ‘American beauty’, esce finalmente dal tunnel remunerativo ma giocoforza limitante dei film della serie 007 (‘Skyfall’ 2012 e ‘Spectre’ 2015 -nota: mi rifiuto di vederli).
Nel farlo si affida a due giovani protagonisti come George MacKay (voto 8 per me) e Dean-Charles Chapman (7).
Attori plasmabili, perfetti per fare da tramite sottile tra la cinepresa e la scena di guerra.
Mendes sembra voler portare lo spettatore sul fronte, nel nord della Francia -e in un certo senso, come vedremo, lo fa- ma si capisce che vorrebbe esserci lui al posto dei suoi attori.
Al fronte invece c’è stato il nonno del regista; nonno citato nei titoli di coda con una operazione di marketing che pare un po’ grossolana, sfacciata, banale.
Cameo di Colin Firth.
A mio avviso ‘1917’ non è un capolavoro -anche se credo vincerà qualche Oscar-, ma è un film che merita di essere visto in quanto unico per alcune caratteristiche, seppur non tutte necessariamente positive.
La più importante, è che emerge chiaramente la ricerca del ‘cinematograficamente bello’ nonostante tutto:
nonostante i cadaveri di cavalli e uomini, nonostante i ratti, le mosche, la fame, il sangue, i tradimenti, il dolore, la morte.
Nonostante la follia.
E questo bello lo trova, con un apparente paradosso logico ma non estetico, proprio appoggiandosi a scorci e primi piani drammatici.
Questa ricerca del bello tramite i primi piani non può non far pensare alla scena dei petali rossi con Spacey sul letto di ‘American beauty’ che sogna la sua Lolita, con un dramma sordo e sordido ancora di là da venire.
In ‘1917’ però il dramma è il film stesso, ne è Zenith e Nadir, ascissa ed ordinata; e quindi in questo caso Mendes corre il rischio di far prevalere la forma alla sostanza, il virtuosismo da cineasta alla realtà.
Come scrive Gianluca Arnone (forse un po’ severamente) su cinematografo.it: “Un saluto al bel cinema di guerra per un cinema di guerra bello. Chi può, resti in trincea.”
Altro tratto distintivo: il film si svolge tutto lungo un unico piano-sequenza sui due protagonisti, offrendo prospettive davvero particolari e coinvolgenti che portano anche lo spettatore in prima linea.
Una fotografia cupa, metallica, a tratti post-nucleare, racchiusa in uno sfondo di tragedia universale su cui si staglia la forza della vita che prende ancora più forza dalla morte che la circonda, anzi, che le è già dentro.
Infatti questi soldati -accatastati e immobili nelle trincee come nei loculi di un cimitero- sembrano un po’ zombie al contrario nel senso che sono dei ‘vivi morenti’.
Sopra le distese di cadaveri (10 milioni di vittime militari, e 7 milioni di civili) stava iniziando a nascere un’Europa che avrà bisogno di un’altra tragedia (la 2^ Guerra Mondiale appunto) per continuare il cammino verso la libertà.
Sarebbe bello (stavolta nella sostanza) oggi perpetuare la memoria ed il sacrificio di due generazioni continuando a lottare -ovviamente in altri modi- per una libertà vera, ancora tutta da conquistare.
M.C.
https://it.wikipedia.org/wiki/Film_sulla_prima_guerra_mondiale
https://it.wikipedia.org/wiki/Film_sulla_seconda_guerra_mondiale