‘Roman J.Israel, Esq.’ – o ‘End of Justice/ Nessuno è innocente’

USA, 2017 – (NO SPOIL)

Abbiamo visto Denzel Washington in tante ottime interpretazioni: da
“Glory” (Oscar Miglior attore non protagonista nel 1990) a Malcolm X” (‘92), da “Philadelphia” (‘93) a “Training day” con cui vince l’Oscar 2002 come Miglior attore.. poi ancora “The Manchurian candidate”, “American gangster”, “Flight”, e molti altri.

Ma in “Roman J.Israel, Esq.”, oltre a essere molto bravo, disegna un personaggio raro.

Per questa interpretazione, nel 2018 Washington è stato candidato sia al Golden Globe che all’Oscar come Miglior attore protagonista (premi entrambi poi vinti dal superlativo Gary Oldman / Winston Churchill con “L’ora più buia”).

Il Roman che dà il titolo a questa pellicola è un avvocato che che conosce a memoria il Codice Penale e vive la professione in maniera totalitaria, trascendendo l’etica.

Una sorta di Sacerdote del Diritto.
Visionario nel suo essere attaccato a valori di altri tempi.

Un Don Chisciotte contemporaneo, i cui mulini a vento sono i colleghi business-man ed il vil denaro.

Un Cavaliere di Re Artù fuori tempo, fuori contesto, fuori tutto.
Con una valigetta non 24 ma 48 ore (o forse 72), ‘sfoggiando’ ogni giorno lo stesso spezzato con giacca spigata dal taglio desueto, o -quando sollecitato- un completo color granata; sì, granata.

Roman che in un ristorante costosissimo cena col tovagliolo al collo.

‘Esquire’*: “perché?”, gli chiede una cliente, osservando il biglietto da visita mentre Roman le ripete il mantra “non è il numero cancellato, è il numero SOPRA quello cancellato..”.
E Roman J.Israel risponde in perfetto stile-Roman J.Israel: “..è un appellativo, ehm..in ambito legale.. come un.. titolo distintivo.. appena sopra ‘gentiluomo’, sotto ‘cavaliere’..”, andando a toccare corde di una modestia tanto sbandierata quanto ingannevole prima di tutto per sé stesso.
Il risultato, sono tempi teatrali perfetti.

Il film (tra il 6,5 ed il 7) sa un po’ di occasione sprecata.
Con un personaggio così complesso e pieno di anfratti socio-emozionali, si doveva fare di più.
Washington domina la scena col capello afro e le cuffiette anni ‘80 -piccole, in gomma piuma colorata.
Denzel/Roman è in conflitto col mondo e ancor di più con sé stesso, rancoroso senza rimedio, ma non rinuncia a sfoderare alcune tipiche espressioni stile “Training Day” e “Flight”.
Colin Farrel e Carmen Ejogo direi bene, ma è proprio la sceneggiatura che sembra paradossalmente quasi risentire del potente centro di gravità rappresentato dal personaggio principale.

Infine, una nota sul titolo: per qs articolo ho utilizzato l’originale, che coglie perfettamente -ah, che bella cosa l’onomastica- il cuore del film.
Per la distribuzione in Italia invece, come troppo spesso accade, la scelta del ‘nuovo’ titolo si rivela banale se non poco corretta (spoil?).

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*[dal blog giuridico “Crystal”]
L’uso di gran lunga piu’ comune del termine esquire e’ con riferimento ai legali americani. Ancorche’ non vi sia un divieto dell’uso del termine con riferimento a persone diverse dai legali, negli Stati Uniti il termine e’ utilizzato per prassi quasi esclusivamente per coloro (uomini o donne) che sono abilitati ad esercitare la professione forense. Quindi, ancorche’ non sia tecnicamente un titolo riservato agli avvocati, quando — per esempio in un biglietto da visita — si legge Esquire or Esq. accanto al nome di una persona (esempio John Smith, Esq.), si puo’ essere abbastanza sicuri che si tratti di una persona ammessa ad esercitare la professione forense in almeno una giurisdizione americana.

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