NB: questa (ovviamente) NON è una recensione, perché -almeno per me- pensare di recensire un libro di Parise sarebbe un’idea letteralmente malsana.
Sono soltanto, appunto, miei pensieri.
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Parise scrive una prosa poetica, e lo fa in un modo tutto suo; direi che lo fa in ‘sur place’.
Sembra dire, poi cambia (solo un po’, magari) idea.
Appare esitante; in realtà è scientifico nel farci attraversare vasti spettri di termini, dal più sofisticato al più banale, ma mai con banalità utilizzati.
Parise non enuncia; propone.
Ha sempre un ‘ma’ pronto all’uso per stiepidire certezze, sfumare aggettivi, farci riflettere e farci assaporare le sue capacità analitiche.
Come i ciclisti sulla pista inclinata, Parise finge di partire nel descrivere, poi spesso si blocca. A quel punto però l’immaginazione del lettore ha già lanciato lo sprint; è già partita, fendendo l’aria densa del reale/non-reale. Ed in quel territorio magico e insidioso, lo scrittore sfrutta l’abbrivio ed in controtempo ci spiazza, superandoci e portandoci con sé in altri sentieri. Una goduria.
Nella mia mente, i racconti brevi dei SILLABARI si sono svolti tutti in 3D, e l’occhiale magico aveva la forma della penna del grande scrittore veneto.
Ho imparato a conoscere anche il color PERVINCA.
Grazie.
L’ho letto tutto di un fiato in una delle mie tante notti insonni.Prima distrattamente, poi “randomicamente”, poi principiando da capo con metodica, per ritrovarmi a metà mattina col desiderio di partecipare a Martina il mio intimo entusiasmo. Aveva ragione una raccolta bellissima.
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